A quella vista macabra Ce uscì.
Se scendi di un piano più sotto dove c’è la sala stampa, si aprono davanti a te due corridoi, o meglio due “passerelle”.
Se imbocchi quella alla tua destra te la puoi ancora cavare: quello è il territorio del ginnasio e l’aria è ancora respirabile. Se invece dal centro stampa ti indirizzi nel corridoio di sinistra, che porta in segreteria e nel bar, allora te la sei cercata.
Ce scese le scale diretta in segreteria: conosceva quegli scalini a memoria e non faceva attenzione a dove metteva i piedi.
Davanti a lei un ragazzino impacciato con un panino imbottito scendeva lentamente le scale ostruendo il traffico. Bastava un’occhiata per riconoscere i quartini, soprattutto i ragazzi. Così teneri, graziosi, timidi: con una seconda occhiata però capisci che non durerà a lungo, che anche loro presto entreranno nel rapido vortice liceale.
Iac stava rimuginando la rabbia non ancora raffreddata. Non si trattava solo del disastro matematico, ma di tutto il cataclisma scolastico che l’aveva travolto alla vista del libretto. Astutamente evitava di aprire spesso il libretto al contrario delle sue compagne competitive, ma quel giorno era stato costretto: se non metti i voti nel tuo libretto ti tolgo la play. La voce minacciosa materna risuonava nel suo orecchio. Così quel giorno aveva aperto quelle tristi pagine per aggiornarle di quel fresco ed infelice tre.
Puntava i piedi in avanti a mò di piccoli trattenuti calci all’aria. In bocca gli si formavano a metà neologismi colorati dal suono a tratti aspro e a tratti sibilante che il ragazzino giustificava con il tentativo di reprimere le sue frustrazioni quotidiane. Tra uno scalino e un borbottio azzannava il panino dal profumo assai ambiguo, nascosto dall’igienica custodia di metallo. Cos’avranno da sorridere tutti in questa scuola? Forse era solo lui l’unico animale da macello in quel mattatoio dalle pareti di cartone?
La risposta gli apparve in aiuto subitanea. Un ragazzino dall’aria innocente affondava la faccia sopra la gelida finestra del secondo piano. Appoggiava le mani sulla sottile mensola dove gli facevano compagnia gli amici Schiacciatina, Tarallo e l’inseparabile Lattina. Iac non sapeva decidersi: sfruttare quella vista per consolarsi o compatire l’amico disadattato? Optò per entrambe le soluzioni, con l’apprezzabile aggiunta di un poco di simpatia fraterna.
“Ehi Sam! Che fai?” –Decise che far finta di non capire che succedeva avrebbe potuto riscattare la disperata dignità dell’amico-.
“Là fuori. Guardo là fuori. La mamma mi ha detto che uno di questi giorni mi porta a comprare qualcosa di carino. Ora pure lei critica il mio guardaroba. Come se i miei compagni di classe non facessero la loro parte. Ma forse è meglio così. Intendo per i vestiti. Forse è meglio che mi adatti pure io, no? Sembrano felici là fuori nelle loro giacche leggere, con la sigaretta sempre in vista. Perché non proviamo pure noi, eh Iac? Ne rubo una al pà stasera. Tu porti l’accendino, eh Iac? Oppure un fiammifero, però poi non so se sia la stessa cosa. Proviamo prima magari, eh Iac? Così non facciamo figure domani a scuola.”
Iac era paralizzato davanti a quello che era il suo migliore amico delle medie. Possibile che fosse così bambino? Pure lui era piccolo e inesperto, però porcogiuda non era così messo male (parafrasando il pensiero). Lo guardò meglio e intravide sopra le pronunciate labbra la presenza di baffi scuri lucidi. Non era necessario toccarli per percepire la setosità di quei peli ancora puerili. Lo stava mettendo poco a suo agio quel discorso sulle sigarette. Possibile che stesse dicendo cose serie? “Proviamo a fumare così non facciamo figure”? In che mondo viveva? Nel mondo di Iac per esempio le sigarette –che raramente vengono chiamate così - si “provavano” a fumare massimo a quattordici anni. E non a metà anno della quarta ginnasio! C’era tutto un meccanismo dietro, un rito che non avrebbe certo condiviso con il suo amico Sam davanti a tutta la scuola…
Questi pensieri si svolsero nel giro di pochissimi secondi nella mente del ragazzo, il quale, a parte tutto, possedeva un minimo di tatto che gli suggerì di assecondare l’amico in difficoltà.
“Sam. Non dire assurdità, tu non hai bisogno di una giacca leggera e una sigaretta in mano per stare bene. Credi di risolvere tutto così? Naa! Ehi, sabato magari puoi uscire con me se vuoi. I miei compagni organizzano qualcosa in centro… Così ti sposti un po’ da quei libri e dizionari e ti diverti con noi. E non provare a tirare in ballo tua madre. Sono certo che basta convincerla un attimo...
to be continued...