lunedì 24 marzo 2008

quei quaranta muscoli

L’ebbrezza di sentirsi vivi è una sensazione che dovremmo provare sempre.

Si dice che il tempo sia diviso in momenti vivi ed altri No.
Momenti in cui non si pensa se si è felici o se non lo si è, perché la Felicità è vissuta come un dato di fatto, come qualcosa di dovuto, e non ci si pone questa o quella domanda sulla propria esistenza, perché allora la Felicità perderebbe il suo puro fascino fatalistico avvolto anch’esso nei tanti piacevoli misteri della vita.

Dall’altra parte giacciono in una coltre di nebbia i momenti che definirei non-vivi, momenti di completa stasi emotiva, in cui si sente freddo a prescindere dal clima là fuori. Momenti in cui si è talmente apatici da riposare anche quei quaranta muscoli in più che servirebbero a riprodurre un caldo sorriso.
In questi attimi di vita sprecata si perde la concezione di ciò che è bello e ciò che è utile e il tempo lo si occupa a sviluppare pesanti ragnatele polverose che si posano sul nostro animo pronte a dar vita ad un malessere psicosomatico che va ad intaccare anche il nostro fisico.
Si creano così facili alibi ingiustificati che proteggono il nostro malumore interiore spostando la causa su una determinata parte del nostro corpo. Capita infatti di essere portati come uomini a nascondere crisi psicologiche convincendo gli altri e se stessi che la vera origine proviene dalla pancia, piuttosto che dalla testa.
Più facile allora diviene l’assunzione di una medicina specifica per ogni evenienza e difficile rimane la preoccupazione di doversi prendere cura dei sentimenti e delle emozioni che non hanno una collocazione precisa e non si manifestano mai con uguali e gestibili sintomi.
Prendersi cura del proprio corpo diviene la soluzione ideale in sostituzione all’assolvere compiti e doveri più grandi come l’affrontare l’infelicità, malattia primordiale dei nostri frequenti momenti non-vivi.

Nei momenti non-vivi c’è chi non vive e guarda la sua vita da un oblò appannato: l’uomo in questione allora arreso si siede, in attesa del momento il più favorevole possibile per buttarsi in acqua. Nel frattempo a questo spettatore distratto si formano silenziose rughe sul viso appassito e mai sfiorito con i soli occhi rimasti a fissare dall’oblò un riflesso annacquato della propria figura.
Nei momenti non-vivi c’è chi soffre di assurde malattie dai nomi rielaborati e arricchiti da aggettivi inventati. Si passa il tempo a curare malattie del fegato e mangiare pastine dal brodo riciclato. Alcuni di questi malati terminali passano giornate intere sulla bilancia a misurare la propria vita in chilogrammi basando la loro esistenza sull’equazione: diminuzione di peso uguale accorciamento di vita.
Nei momenti non-vivi si tenta di rubare felicità artificiale comprandola nel negozio sottocasa. Il tentativo di comprare la vita sotto vetro è grande quanto quello di venderla al miglior offerente in cambio di pochi attimi di piacere.
Nei momenti non-vivi si soffre della pericolosa malattia dell’amnesia. Si è portati a dimenticare le cose più scontate, come la benevolenza della famiglia e il valore dei ricordi. Ci si proietta al futuro dipingendolo di nero con cancelli ovunque.

Così facile scordare.
Il sordo dimentica di parlare senza l’esercizio dell’ascolto.
Il muto dimentica di ascoltare senza l’esercizio della parola.
L’infelice dimentica di vivere senza l’esercizio del sorriso.

La vita però è magnanima e in un modo o nell’altro ti ricorderà sempre che si tratta solo di quei quaranta muscoli in più…