mercoledì 14 maggio 2008

il preparatori




Thanks to Maccio Capatonda&il pugno di lato!


Con la partecipazione straordinaria di Geeno.

lunedì 12 maggio 2008

Linda aveva un bel nome

Era passato un quarto d’ora abbondante dalla voce in corridoio che avvertiva che il pranzo era pronto, tuttavia Linda rimase con le gambe strette sotto la scrivania, e le mani che rapide si muovevano sui tasti bianchi della tastiera del computer. Le sue dita lunghe e affusolate erano state da sempre il centro dell’attenzione dei genitori per i quali era sciocco sottovalutare il potenziale da pianista della loro piccola. A nulla era valso il regalo di un alto pianoforte a muro per i dodici anni della figlia e Linda reclinò l’ingombrante dono, preferendo appoggiare le sue dolci mani sulla tastiera più agevole del computer, per il quale era bastato insistere a suon di capricci.
La voce acuta della madre aveva lievemente solleticato il suo interesse, che era completamente rivolto allo schermo nitido di fronte a lei. Quei milioni di pixel illuminati attraevano i suoi occhi più di mille lucciole notturne: scorreva veloce lo sguardo e di tanto in tanto sfiorava tasti che ordinavano impulsi all’apparecchio statico. I suoi veloci movimenti la eleggevano comandante, nocchiero, sottufficiale, nonché padrona del paradisiaco veliero multimediale.
Ancora risuonavano le parole della madre, la quale interveniva a più riprese lontana sotto le scale ed emetteva ogni volta un monito più arrendevole del precedente, finendo per urlare un timido ‘fa’ come vuoi’.
‘Certo’, rispondeva in cuor suo Linda, i cui freschi quattordici anni le suonavano come un incentivo all’indipendenza domestica, che da lì in poi, sarebbe stata in ascesa, fino alla completa autonomia personale una volta raggiunti i diciotto.
Lo stomaco inoltre non rispondeva neanche più agli stimoli quotidiani, e mangiare diventava semplicemente un obbligo morale nei confronti di genitori apprensivi e monotoni.
Linda aveva un’idea chiara e precisa di cosa rappresentasse in quella circostanza il pranzo. Un’ennesima cerimonia da condividere con due cinquantenni che non la capivano, e che per di più la relegavano seduta sulla sedia in cucina, rivolgendole ad ogni boccone domande intimidatorie ed interrogativi preoccupati, intervallati dalle sue risposte fatte di lunghi silenzi.
Il cambiamento epocale del rapporto con i genitori era accaduto suppergiù all’inizio della seconda media, quando alla tipica domanda post scuola “com’è andata oggi?” non seguì più il solito “bene” a cui gli studenti si attaccano tanto, ma “niente”: risposta riassuntiva di uno stato d’animo in lotta con nuove ed instabili condizioni adolescenziali, a cui i genitori dovrebbero far più attenzione più di tante altre risposte da parte dei figli. Quel ‘niente’ conteneva in sé un tesoro di dubbi da svolgere e vuoti da riempire.
Linda sin dal primo ‘niente’ sottovalutato dai genitori, voleva nascondere la paura di rapportarsi con i coetanei in un’età in cui è difficile persino accettare di avere quegli anni.
Forse sarebbe bastato il regalo di un diario rosa con il lucchetto e le pagine al suo interno profumate di gelsomino per contribuire alla giusta crescita di Linda, ma nessuno pensò che Linda avesse soltanto bisogno di comunicare con sé stessa, prima che con gli altri.
Linda aveva un bel nome. Sua madre glielo diede alla nascita, certa che avrebbe cresciuto una bambina beneducata, pulita e pura. Linda, appunto.
Il marito della madre di Linda, troppo intento a rincorrere la scalata sociale, relegò il compito di ottemperare i problemi domestici alla madre di Linda, la quale aveva sempre desiderato diventare da grande un’impeccabile donna di casa, e costruire con devota cura il nido familiare, con particolare attenzione alle rifiniture dei tendaggi e alla scelta dei detersivi di marca.

venerdì 9 maggio 2008

forumattivo

Allo scader dell'anno scolastico 2007/2008, il progetto della Meglio Gioventù si espande e diventa multimediale.

L'intento di avvicinare la politica tra i ragazzi sorpassa perfino le barriere di internet e decide di dare inizio ad un forum, che abbracci tutti i gruppi finora organizzati.

L'estate si avvicina, così per non perdere mesi preziosi di allontanamento dalle strette aule, ci ritroveremo tutti lì, su forumattivo, a dibattere, discutere, ricordando le passate riunioni, attendendo quelle prossime.


Aspettatevi grandi cose.
FOR A BETTER YOUTH.

http://lamegliogioventu.forumattivo.com/

domenica 27 aprile 2008

TUM TUM TUM

TUM TUM TUM
Il coniglio con gli occhiali e l’orologio nel taschino faceva rimbombare il lungo bastone sul pavimento lucidato.

-Sì, è stato invitato anche il coniglio di Alice, ma non vi turbate, non avete sbagliato posto: è proprio qui che assisterete alla rappresentazione che tanto aspettate, e la presenza di un ospite così straordinario dimostra soltanto la valenza di questo evento, unico nel suo genere. Quindi sistematevi bene. Se avete bisogno di soffiarvi il naso, abbiamo pagato il coniglio anche per questo-

TUM TUM TUM
SSSSHHHH


-Gli attori stanno entrando in scena, ed il coniglio dice di far silenzio. Come se non lo sapessimo! I conigli oggigiorno si credono chissà chi, solo perché loro hanno un pelo morbido e si spacciano per vegetariani-

Un paggetto che sembra uscito da un librone elisabettiano si pone al centro della stanza illuminata solo da un faro centrale.

SIGNORE E SIGNORE
(una voce fuori campo senza faccia, senza nome, appare da sotto una mattonella. Il pubblico non sembra accorgersene: SIGNORI. SIGNORE E SIGNORI!)

Due macchie bordeaux appaiono sul viso tondo del paggio, che deglutisce. Una mosca sorvola le prime file del teatro. Un bimbo starnutisce. Il bigliettaio convalida l’ultimo posto disponibile. La figlia del bigliettaio esce orgogliosa dal teatro e appende all’ingresso un cartellone: SOLD OUT. Il paggio riprende.

SIGNORE E SIGNORI
BAMBINE E…BAMBINI
BEH, ANCHE VECC…ANZIANE ED ANZIANI.
GRAZIE DI ESSERE QUI E… NON DA ALTRE PARTI.
ANZI… GRAZIE DI ESSERE QUI.

(L’omino senza faccia e senza nome riappare dalla mattonella mostrando uno sguardo malevolo. Stringe gli occhi e inarca le sopracciglia folte. Solo il paggio se ne accorge).

LA RAPPRESENTAZIONE CHE VI PROPONIAMO STASERA
E’ TRATTA DA UNA STORIA VERA. VERA COME SIETE VOI,
IO, E ANCHE IL CONIGLIO QUI DI FIANCO A ME.
PARLA DI QUELLA COSA AL MONDO A CUI TUTTI ANELIAMO:
LA FELICITA’, CHE A VOLTE CI SEMBRA TANTO LONTANA, MA IO DICO CHE E’ TALMENTE VICINA CHE A STENTO LA RICONOSCIAMO. ALLORA GUARDIAMO PIU’ IN LA’, E CI ACCORGIAMO CHE PIU’ IN LA’ NON E’ SEMPRE BELLO, CHE FORSE E’ MEGLIO DI QUA, DOVE SIAMO SEMPRE STATI. MA FORSE ORA STO ESAGERANDO E TENGO IL MICROFONO TROPPO IN MANO. POI MAGARI PENSATE CHE LO VOGLIO TUTTO PER ME. IO… IO, CHE MI VERGOGNO COSI’ TANTO CHE NON ALZO LO SGUARDO. PERO’ MI SIETE SIMPATICI, E SAPETE FORSE…



TUM TUM TUM
EMH EMH


-Il coniglio per una volta ne fa una buona. Ha interrotto quel logorroico del paggetto. E chi l’avrebbe detto che aveva una lingua tanto lunga? Ora mi sa che inizia veramente-

Grazie ad un perfetto gioco di luci, una bimba si materializzò sul palco. Aveva talmente tanto pizzo da ricoprire tutti i vestiti da sposa dell’intera contea di Nottingham.
Ma non era sola. Portava con sé un piccolo flauto di legno che suonava con garbata armonia. Dai lunghi boccoli color del grano maturo spuntavano ad ogni nota farfalle di un blu acceso, che sorvolavano con le loro ali apparentemente fragili il palco per poi scomparire in una bolla di sapone…
Ma non è finita qua: la bimba si mise a danzare scalza, con le punte dei piedi concentrate in un unico sforzo di tensione muscolare. Gli sguardi dell’intero pubblico compivano piroette nel seguire i movimenti aggraziati della bimba, che sembrava uscita da fontane seicentesche adornate di putti angelici.
La sua grazia non era solo nei movimenti del corpo, ma anche in quella delle sue sottili corde vocali, che le regalavano ad ogni emissione di suono, una voce delicata e soave, che riscaldava gli animi intorpiditi del pubblico certamente ristorato da quella dolce presenza.



Come tutte le favole e le fiabe ascoltate
In tutte la bella, la strega, e le fate,
La mela, il coniglio, la zucca, le briciole di pane
Il procione, la lampada, ed il cane.
Che dire poi delle bacchette, dei vestiti e dei castelli,
dove fanciulle stanche vengono tratte in salvo
da principi coraggiosi, impavidi e belli.
Come tutte le favole e le fiabe ascoltate
Pure questa signori ha un inizio, un mezzo e una fine
che servono a voi per essere più buoni, più giusti, più gentili
e guai a voi se ve ne andrete scontenti, o delusi
che qui la morale ha certo mille usi
e guai a voi se ve ne andrete urlando, gridando
che qui l’insegnamento vi sta bussando.
Come tutte le favole e le fiabe ascoltate…
C’ERA UNA VOLTA TANTO TEMPO FA…




PREMESSA

C’era una volta tanto tempo fa un villaggio in mezzo ad un bosco fittissimo, ma sempre illuminato dal sole estivo o dalla bianca neve invernale. Gli abitanti di questo piccolo villaggio erano molto molto grandi ma non incutevano timore, anzi, il loro costante sorriso e la loro bontà li facevano amare da tutti. Proprio per questo non avevano nemici, e non ne avrebbero mai avuti. Unica e sola tragedia in cui amaramente si crogiolavano era la nuda e cruda consapevolezza di diminuire sempre più. Da tanti e numerosi villaggi che erano stati tempo addietro, ora si trovavano riuniti tutti quanti in unico accampamento… Davanti a questa nuova realtà il loro capo villaggio aveva proclamato ufficiale la legge per cui ogni abitante si sarebbe riprocreato in maniera molto più intensiva e velocemente. Non c’era tempo da perdere! Gli scapoli e le nubili erano considerati traditori della patria; i figli dovevano essere svezzati più in fretta; tutto andava seguito in maniera precisa!
Ed è qua che si svolgerà la storia che andrò a raccontarvi.
Ah, dimenticavo: …IL VILLAGGIO IN QUESTIONE è UN VILLAGGIO PANDA.

lunedì 21 aprile 2008

Z di Zorro

Fino a poche settimane fa ignoravo la penna agile e seducente di Isabel Allende.
La mia conoscenza con lei si basava in miei sguardi fuggevoli quando le amiche di mia madre le porgevano libri dalle copertine colorate a pastello leggero che ingiustamente mi facevano pensare ad un esclusivo pubblico di pacati animi femminili.
Zorro è stato un regalo inaspettato e per questo ben voluto da subito.
Presi in mano la comoda edizione economica con il presagio di una lettura a climax ascendente, che alla fine mi avrebbe catturata. Eppure l’incipit per attimi rimase sospeso tra poche aspettative e snobbismo nei confronti di un titolo privo di attrattiva.
Giacché l’eroe protagonista mi appariva nitido nelle proprie definite sfaccettature cavalleresche, e rinchiuso in poche battute cinematografiche di malfatte trasposizioni televisive, rimasi restia davanti ad una storia già conosciuta e di fronte a gesta riciclate da ben più importanti poemi epici.
Le leggende tuttavia, avvolte in uno spesso mistero nebbioso e inafferrabili nei loro segreti velati, seducono da sempre gli uomini, i quali raramente si lasciano scappare l’occasione di rincorrerle.
Se solo avessi fatto più attenzione e avessi abbandonato da subito i miei lacci mentali, avrei immediatamente scorto un sottotitolo in grassetto, posto in basso per sviare i pregiudizi come i miei e per indirizzare i lettori alla giusta interpretazione del libro: Zorro, l’inizio di una leggenda.
Scoprii perciò che si trattava di un romanzo di formazione, tanto illuminante per giovani animi quanto profondo nel toccare temi vecchi come il mondo: l’importanza dell’infanzia e dell’adolescenza nel plasmare la persona.
Figlio del capitano spagnolo Alejandro de la Vega e di Toypurnia, un’india che si era battuta per riscattare il proprio popolo dalla colonizzazione iberica, Diego nasce come fusione tra due animi molto diversi tra loro e per questo complementari. Fin da bambino eredita dal padre il senso dell’onore e dalla madre la volontà di difendere gli oppressi.
Da subito si snoda l’importante tema della diversità che contribuisce non poco alla formazione caratteriale del giovane protagonista. La doppia identità di Diego e Zorro era possibile perché dalla nascita era insito in lui, figlio del colonizzatore spagnolo e dell’indigena sottomessa.
Importante e non secondaria matrice resta l’amicizia, o meglio, la fratellanza che lo unisce a Bernardo, figlio della balia che ha allattato entrambi, gesto che conferisce loro un legame indissolubile di complicità.
C’è uno sfondo storico, essenziale per tessere la trama di colorate date e di avvenimento di singolare importanza. La colonizzazione spagnola accompagna il libro dall’inizio alla fine, con una deviazione nel mezzo quando Diego e Bernardo danno inizio alla propria pubertà salpando con una nave in direzione spagnola. Lo stacco dalla scenografia alto-californiana e l’immersione nel mondo europeo, stravolto dalle conquiste napoleoniche costituisce un passaggio poco scontato e del tutto dipendente dalla formazione del protagonista, che lontano da casa compie un lungo rito di iniziazione che dura pressappoco cinque anni.
L’amore non corrisposto è l’argomento più sentito dal giovane animo turbolento. Diego, trasporta a Barcellona la propria inclinazione passionale, istintiva che rappresenta un tratto aggiuntivo alla sua complessa personalità molteplice. Diego infatti si innamora della figlia del suo ospite, la bellissima Juliana, dagli occhi di gatto, e dalla pelle delicata. Questo viscerale amore platonico lo vede protagonista di gesta eroiche e azioni cavalleresche che poco servono ad attrarre su di sé l’interesse femminile.
C’è un importante e grandioso antagonista, che concorre a maturare il giovane amante e a mettersi più volte in dubbio. Moncada è un ricco e facoltoso ventitreenne innamorato fin da piccolo di Juliana e sempre più determinato ad averla come sposa. Questa costante presenza scomoda darà modo a Diego di trasformarsi mano a mano in Zorro, causando conseguenze tipiche di una doppia identità. Infatti il rapporto Diego-Zorro ruota attorno all’attrazione di Zorro e allo stesso tempo alla paura di non saper dominare questi impulsi eroici.
Zorro tuttavia è un eroe e privo di dubbi quando agisce. Non si può permettere di pensare troppo, nello stesso tempo antepone il proprio ingegno e la propria astuzia davanti al senso dell’onore.
Frase riassuntiva della politica di Zorro è: mai combattere con la rabbia.
L’intraprendenza di Zorro e la sua sete di giustizia sono gli ingredienti di questo eroe tanto acclamato dai sensibili animi femminili, eppure senza maschera e mantello, Diego è un ragazzo con le orecchie a sventola che non sa come fare per conquistare la sua Juliana.
Chiudo il libro soddisfatta di questa amabile lettura di inizio primavera, che mi ha lasciato un dolce retrogusto di lieto fine, accompagnato da una forte ricerca di avventura letteraria.
Non lascio neppure il tempo di ripensare alle pagine lette e prendo in mano un nuovo libro, stando attenta questa volta a non storcere il naso davanti a titoli ingannevoli…

domenica 13 aprile 2008

W

TODAY AND TOMORROW WE CAN CHANGE!

We Will Win With Walter

lunedì 7 aprile 2008

al cor gentile rempaira sempre amore

NUOVO MESSAGGIO RICEVUTO:ciao cm va k dc d belo

balia:"signorina, ma voi siete il centro dei desideri di un intrepido cuore!"

signorina:"Io...certo che no! Come fate a dirlo balia? Ritengo al contrario di essere tanto più distante dal centro del cuore, che mi pare di toccarne la spalla o il braccio!"

balia:"Suvvia bambina, come fate a scherzare in tali circostanze! Carta canta. La corrispondenza è ciò di più vicino a due cuori! Il vostro mittente vi sta iniziando alla più nobile forma di amor cortese. Ora sta a voi accogliere l'invito!".

signorina:"Amor cortese dite? Ma balia, questo è un semplice biglietto smangiucchiato ai bordi. Per niente curato. Non vedete inoltre le lettere tutte attaccate, gli errori morfologici... Gli errori morfologici però li vedete, non è vero? Niente enfasi. Non una interiezione. Non colgo nulla di cortese: forse, cara balia, se il suddetto giovane si fosse avvicinato, perlomeno. Avesse avuto l'ardire di trasportare ciò che egli ha scritto in tale fretta e volgarità letteraria e l'avesse pronunciato a parole, avrei apprezzato di più. Ciò che è scritto ha più valore di ciò che è detto, colui che non sa esprimere il proprio sentimento a voce, è tanto più incapace di scriverlo. A mio parere, ciò che voi chiamate centro dei desideri non è altro che una ridotta, mal espressa, grezza trasposizione di un eventuale interesse".

balia:"Sciocca insolente! Imparaste meno a far muovere la lingua e faceste muovere la piuma, avreste prodotto già una missiva di risposta, con tanto di bollo laccato! Alla vostra inesperta età, non dovete certo aspirare a chissà quali felicità astratte, a chissà quale coinvolgimento affettivo! "ciao cm va k m dc di belo" è più di quanto potreste ottenere oggigiorno! Ora ascoltate me, che vi ho cresciuta, e che mi trovo senza fede al dito: accettate ciò che di buono può offrirvi oggi il mondo. Respingete piuttosto la vostra settica idea d'amore. Leggete troppo, ecco ciò che vi è di sbagliato in voi! Le cose scritte bruciando appassiscono, come la vostra bellezza, ricordatevelo in tempo!".

signorina: "Niente affatto! Se credete che sia una giovane che si lascia travolgere da una frase insignificante come questa, vi sbagliate! E' altro a cui anelo. Mi immagino un giorno seduta sul letto d'infanzia, ad aprire il cassetto di ebano di fianco alle coperte, e scoprire un'alta raccolta di epistole impolverate. Mi vedo rileggere fiammanti versi settenari, interrotti da squarci di prosa autentica che un dì lontano ricevetti da giovani sinceri e risoluti.
Che male c'è a voler aspettare il momento propizio, e dedicare le proprie più tenere parole solamente a chi sarà in grado di raggiungere il proprio cuore sigillato e aprirlo con il suo stesso cuore? Oh, mia adorata balia, non piangete per ciò che udite, altro è il mio scopo di vita, che essere sulla spalla di un giovane privo di sogni.
Nobile invece è chi sa comporre nelle sue lettere, intere frasi di proprio ingegno, veri parti poetici, riscaldati da aggettivi colorati, decorati da sapiente umorismo scelto, privi di alcuna invadenza, ma innalzati nella propria sincerità da uno stile curato, e una forma pulita. Il tutto reso più amabile da un'allegra spontaneità...
...Ora mi crederete una giovane sciocca, più di quanto non lo sia, ma ritengo che la perfezione si ottenga in un modo del tutto particolare in circostanze di cuore. Amor cortese avete detto. Ecco, perfetto amor cortese è di colui che regala alle sue serenate letterarie una citazione d'autore. Priva di virgolette, sospesa tra il mittente e la destinataria, la quale non solo avrà il dovere di cogliere la citazione, ma sforzarsi a cercarne la fonte. Tentare e ricercare soluzioni. Non darsi per vinta. E tanto più sarà ardito l'enigma, quanto più forte sarà la base di un legame tra i due interlocutori...
Oh cielo, che bel dire il mio! Confidare alla balia i più reconditi desideri di una giovane amante.
Ma ora dove andranno i sogni miei? Sbiaditi dal tempo autunnale e posati su insicure spalle e tremanti bracci!
Suvvia, fatemi la cortesia di passarmi il calamaio. Grazie.

RE: ciao cm va k m dc di belo
ttt bene grazzie. te k fai ?

venerdì 4 aprile 2008

Nominativo adulescens: ultimo capitolo

Il suono metallico delle undici e zero zero annunciava con insistenza la fine della pausa pipì per alcuni, pausa sigaretta per altri, pausa macchinetta per molti.
Tutti in un modo o in un altro occupavano quei seicento secondi di stacco nel miglior modo possibile, uscendo perlopiù dalle asmatiche pareti di cartone, ridando vita alle gambe che si risvegliavano con cordiali scricchiolamenti di ossa.
L’intervallo è svago.
Niente di più, niente di meno.
Facile e sicuro come ripetere us, a, um.
Come un sistematico, utile, inconfondibile aggettivo della prima classe.
E come ogni sistematico, utile, inconfondibile aggettivo della prima classe anche l’intervallo ha le sue accezioni, i propri cavilli nascosti sotto ingannevoli asterischi.
Ed ecco che in fondo al corridoio del secondo piano apparve l’accezione che confuta ogni regola: una desinenza ibrida sì debole da non potersi imporre in una nuova dogmatica legge.
In questo caso si trattava di una desinenza umana di quarantatre chili e quattrocentosessanta grammi moltiplicati per un metro e sessantasei centimetri.
In piedi perché le ossa si comprimevano incollate sulla squadrata sedia gialla.
In silenzio perché a gridare ci pensava il suo lento battito cardiaco.
In incognito, irriconoscibile dentro un nuovo corpo instabile.
In-adatta a comunicare col mondo, in-consapevole ragazza sottovuoto che misurava la vita in tabelle ipocaloriche, in-somma, un vero schifo.
E lo schifo è per tutti, lo assicurava pure lei, che non sapeva da che parte cominciare per raccontare com’era accaduto, e uno schifo per la sorella con cui viveva che si sfogava in philip morris e muffin al cioccolato.
Ma quei dieci minuti di stasi emotiva erano finiti e Alice trasferì con piacevole sofferenza personale i suoi quarantatre chili in classe.
Non distinse l’odore malsano di corpi ammassati, men che meno riconobbe il profumo di paprika attaccata alle dita dei compagni.
Il professore entrò ma la sua lezione era già iniziata in fondo alle scale, dove era solito parlare da solo. La gente mormorò lamentele sottobanco ma la desinenza Alice sorrideva dentro e si rilassò facendo la sua cosa preferita: seguire la lezione.
Quel giorno si instaurarono molti argomenti subordinati dipendenti tutti dalla principale Equazione.
Le derivate coordinate non erano altro che i vari alunni che mesti si davano il cambio alla lavagna, dando vita ad un triste scambio di testimoni, finché non impugnò il pennarello la scheletrica mano di Alice.
Alice lo sapeva. Alice sapeva tutto. Almeno quello che c’era scritto da pagina 1 a 167, compreso l’indice. Alice sapeva e finì in quattro e quattr’otto.
Posò il pennarello sotto gli occhi dell’insegnante e tornò a rallentatore al suo posto, guardando con sufficienza i coetanei, incrociando un minaccioso sguardo con l’imbattuto cervellone della classe, autoconvincendosi di un otto sul registro e proiettandosi ai prossimi campionati mondiali di matematica dove avrebbe presieduto come giudice indiscusso.
Altro che castelli di sabbia i suoi, di cemento armato piuttosto.
A tutti gli adulescentes capita di sognare a occhi aperti, mormorare parole non colte, sorridendo dentro per fantasiosi progetti futuri.
Con Alice tuttavia si cadeva in enormi bolle di colla vinilica, in cui realtà e sogno diventavano tutt’uno: nel mondo di Alice non si intravedevano né conigli né regine di cuori. C’era solo un faro luminoso posto sopra di lei e un tappeto rosso che rotolava sotto i propri piedi, seguendola in qualsiasi sentiero avesse intrapreso.
Nessuno in verità poteva sapere cosa producesse quella sostanza gelatinosa che era il suo cervello: quali i meccanismi, quali le matrici che generavano tanta confusione, dove iniziasse la consapevolezza della vita intorno e se esistevano cassetti pieni di ricordi di pranzi all’aperto e risate familiari.
I motivi della sua autodistruzione rimasero perciò misteriosi sotto una pesante coltre di nebbia, e titanici punti di domanda.
Svariati professoroni dal suffisso psic e dal lungo camice intatto non avevano risolto il problema.
Centinaia di abbracci e baci, migliaia di pianti e infinite parole non riuscivano a colmare il suo male di vivere.
Alice aveva rischiato più volte di perdere la propria desinenza provocando elisioni irreparabili, cavandosela per piccolissime particelle di vita che pian piano si disfacevano in polvere.
Alice scoprì a sua spese di essere un’accezione della vita, così debole da non potersi imporre in un’altra vita più bella.
E tutti gli altri umani che seguivano ordinati la declinazione us, a, um non riuscivano a spiegarle come rimettersi in carreggiata con loro.
Come far coordinare un risoluto aggettivo della prima classe con un’anarchica accezione? Si doveva ripartire da capo.
Si sarebbe dovuto risalire alle origini del suffisso, decifrarne gli influssi etimologici, addentrarsi nella storia personale di quella desinenza che sgarrava ai flussi logici della declinatio.
Il mondo intanto continuava le sue albe e i suoi tramonti.
Il mondo per primo seguiva il più grande us, a, um e impartiva a tutti il proprio veloce ritmo di marcia.
Alice sarebbe rimasta tutta la vita a ripetere la prima declinazione, mentre i coetanei attorno già finivano di recitare nominativo adulescens.

venerdì 28 marzo 2008

Orgoglio & Pregiudizio

P: Non gridare. Taci. Non dirlo.

O: Ma che male c'è se lo grido o se lo dico?

P: C'è che oggi ti sembra vinta la guerra, ecco che c'è! Ma le insidie dei nemici? Ci hai pensato? L'hai letto il De Bello Gallico, no? In guerra si è tutti vulnerabili.
Appena un momento di tregua e ti sembra di aver la vittoria in tasca. Esci allo scoperto e tàc! Il nemico ti becca e ti spara... Ascoltami una buona volta. Non gridare. Non dirlo proprio.

O: Non è un gioco questo! Neanche una guerra. E' la mia vita che scorre felice.
F-E-L-I-C-E. Secondo me sei solo una voce invidiosa e astiosa. Quindi io ora grido che son..

P: NO! MALEDETTA!TI DEVO PROPRIO PROFETIZZARE IL TUO DISASTRO? Se sei felice -cosa tra l'altro da dimostrare- abbi la decenza di tenere questa piccola gioia per te. Mettiamo il caso che domani inciampi e ti fai male. Come ti comporterai davanti agli altri? 'Ma come' -ti diranno- 'ieri eri allegra e oggi sei già giù?' Un po' di coerenza emotiva! Un po' di integrità umorale! Non sovviene pure a te che facendo finta di nulla, non considerando per un po' la tua felicità possa essere di aiuto per tutti? Ma certo che lo pensi! Peccato tu sia una voce troppo testarda per ammetterlo! Sai cosa ci farei io con il tuo orgoglio?

O: Oracolo da quattro soldi! Se oggi sono felice non vedo perchè devo pensare a domani!
Se domani sarò giù di morale potrò sempre risollevarmi riportando la mente alla gioia che provo ora!
Si vede che sei una voce cinica! Come fai a parlarmi di coerenza emotiva? Parli a sproposito! E' come dire gelato salato o violenta carezza!
Inoltre "non ti sovviene" che se io sono orgogliosa tu allora sei pregiudizievole? Sputi sentenze senza guardare realmente la mia posizione di persona FELICE! I tuoi continui disprezzi rovineranno ciò che con fatica ogni giorno IO costruisco! Perciò ti dico ch...


La luce sfuma. L'omino dietro le quinte cala silenzioso il sipario. Il pubblico rimane seduto senza applaudire. Quelle due voci andranno avanti per tutta la vita senza intervallo. Il botteghino non chiuderà mai e l'affitto del teatro sarà pagato dal proprietario delle due voci, il quale per sua volontà non smetterà di scommettere su quei due improvvisati istrioni.
Le voci non fanno caso al sipario e il buio non li spaventa: finchè non giungeranno ad un accordo infatti sprecheranno le corde vocali a danno delle tante emicranie di quel povero proprietario (FELICE).

mercoledì 26 marzo 2008

VOODOO

La moglie del signor Decker era appena tornata da un viaggio ad Haiti, che
aveva fatto da sola, perché doveva essere una specie di periodo di riflessione
prima che discutessero del loro divorzio. Non era servito a niente.
Tutt’e due si erano ben guardati dal riflettere, e stavano ora scoprendo che si
odiavano più che mai.
“La metà” disse energicamente la signora Decker. “Non mi accontenterò di
meno della metà dei soldi e delle proprietà.”
“Ridicolo” disse il signor Decker.
“Davvero? Potrei avere tutto, sai? Mentre ero ad Haiti ho studiato il voodoo, e
mi sarebbe facile.”
“Idiozie” disse il signor Decker.
“Non è vero, e sii contento che sono una brava persona, perché in caso
contrario potrei ucciderti facilmente, se lo volessi. Allora avrei tutti i soldi e tutte
le proprietà, senza temere conseguenze. È impossibile distinguere una morte
causata dal voodoo da un comune collasso cardiaco.”
“Sciocchezze” disse il signor Decker.
“Lo credi davvero? Ho della cera e uno spillone. Dammi qualcuno dei tuoi
capelli e una o due unghie tagliate e ti farò vedere.”
“Assurdo” disse il signor Decker.
“E allora perché hai paura che ci provi? Poiché sono sicura che funziona, ti
farò una proposta: se non morirai, ti concederò il divorzio senza chiederti nulla. Se
morirai, avrò tutto automaticamente.”
“E va bene” disse il signor Decker. “Prendi la cera e uno spillone.” Si guardò
le unghie delle mani “Troppo corte. Ti darò qualche capello.”
Quando tornò con qualche capello raccolto nel coperchio di una scatoletta
d’aspirina, la signora Decker aveva già cominciato a lavorare la cera. Vi incorporò i
capelli e cominciò a modellarla formando una rozza immagine di un essere umano.
“Te ne pentirai” disse, e conficcò lo spillone nel petto della statuetta di cera.
Il signor Decker rimase sorpreso.
Anzi, più che sorpreso, compiaciuto. Non aveva mai creduto al voodoo, ma
essendo un uomo molto prudente non aveva voluto correre rischi.
E poi, l’aveva sempre infastidito che sua moglie pulisse così di rado la sua
spazzola per capelli.



Fredric Brown

lunedì 24 marzo 2008

quei quaranta muscoli

L’ebbrezza di sentirsi vivi è una sensazione che dovremmo provare sempre.

Si dice che il tempo sia diviso in momenti vivi ed altri No.
Momenti in cui non si pensa se si è felici o se non lo si è, perché la Felicità è vissuta come un dato di fatto, come qualcosa di dovuto, e non ci si pone questa o quella domanda sulla propria esistenza, perché allora la Felicità perderebbe il suo puro fascino fatalistico avvolto anch’esso nei tanti piacevoli misteri della vita.

Dall’altra parte giacciono in una coltre di nebbia i momenti che definirei non-vivi, momenti di completa stasi emotiva, in cui si sente freddo a prescindere dal clima là fuori. Momenti in cui si è talmente apatici da riposare anche quei quaranta muscoli in più che servirebbero a riprodurre un caldo sorriso.
In questi attimi di vita sprecata si perde la concezione di ciò che è bello e ciò che è utile e il tempo lo si occupa a sviluppare pesanti ragnatele polverose che si posano sul nostro animo pronte a dar vita ad un malessere psicosomatico che va ad intaccare anche il nostro fisico.
Si creano così facili alibi ingiustificati che proteggono il nostro malumore interiore spostando la causa su una determinata parte del nostro corpo. Capita infatti di essere portati come uomini a nascondere crisi psicologiche convincendo gli altri e se stessi che la vera origine proviene dalla pancia, piuttosto che dalla testa.
Più facile allora diviene l’assunzione di una medicina specifica per ogni evenienza e difficile rimane la preoccupazione di doversi prendere cura dei sentimenti e delle emozioni che non hanno una collocazione precisa e non si manifestano mai con uguali e gestibili sintomi.
Prendersi cura del proprio corpo diviene la soluzione ideale in sostituzione all’assolvere compiti e doveri più grandi come l’affrontare l’infelicità, malattia primordiale dei nostri frequenti momenti non-vivi.

Nei momenti non-vivi c’è chi non vive e guarda la sua vita da un oblò appannato: l’uomo in questione allora arreso si siede, in attesa del momento il più favorevole possibile per buttarsi in acqua. Nel frattempo a questo spettatore distratto si formano silenziose rughe sul viso appassito e mai sfiorito con i soli occhi rimasti a fissare dall’oblò un riflesso annacquato della propria figura.
Nei momenti non-vivi c’è chi soffre di assurde malattie dai nomi rielaborati e arricchiti da aggettivi inventati. Si passa il tempo a curare malattie del fegato e mangiare pastine dal brodo riciclato. Alcuni di questi malati terminali passano giornate intere sulla bilancia a misurare la propria vita in chilogrammi basando la loro esistenza sull’equazione: diminuzione di peso uguale accorciamento di vita.
Nei momenti non-vivi si tenta di rubare felicità artificiale comprandola nel negozio sottocasa. Il tentativo di comprare la vita sotto vetro è grande quanto quello di venderla al miglior offerente in cambio di pochi attimi di piacere.
Nei momenti non-vivi si soffre della pericolosa malattia dell’amnesia. Si è portati a dimenticare le cose più scontate, come la benevolenza della famiglia e il valore dei ricordi. Ci si proietta al futuro dipingendolo di nero con cancelli ovunque.

Così facile scordare.
Il sordo dimentica di parlare senza l’esercizio dell’ascolto.
Il muto dimentica di ascoltare senza l’esercizio della parola.
L’infelice dimentica di vivere senza l’esercizio del sorriso.

La vita però è magnanima e in un modo o nell’altro ti ricorderà sempre che si tratta solo di quei quaranta muscoli in più…

mercoledì 19 marzo 2008

Stringo tra le labbra

Mille parole e mille uragani stringo tra le labbra.
Raccolgo il consiglio di un amico, stacco per qualche giorno con il mio mondo inventato, giusto il tempo di riallacciarmi a realtà più divaganti.
Che mi sia concesso tuttavia come unico appiglio un quaderno a spirale e una matita temperata infilati in uno zaino pesante. Sola aspettativa di viaggio, l'ombra di un bel faggio solitario, e il rumore dell'aria spostata dal vento.


Per il resto non chiedetemi nulla, troppe parole e troppi uragani stringo tra le labbra.

"E' un stimolo strano che parte parte dal ventre e si estende fino alla gola, fino a soffocarti. E' uno stimolo strano quello di scrivere, così tu, giovane cuore, impara a gestirlo prima che esso gestisca te"

domenica 16 marzo 2008

adorabile impertinente

Armand
Ecco qui la nostra piccola sognatrice

Rose
“Nostra” in che senso, signore?

Armand
“Nostra” di noi, è un plurale maiestatis.
Rose
“Piccola” in che senso, signore?

Armand
Non di statura Rose, voi siete proporzionata, ogni cosa in voi si rapporta all’altra con la grazia di un corpus legis, dello schieramento di un esercito in battaglia, del trotto di un cavallo roano, ma siete piccola perché io vi vedo piccola.

Rose
Vi servono degli occhiali, signore?

Armand
Oh, adorabile impertinente.

Rose
Adorabile in che senso, signore... e impertinente in che senso, signore... e roano in che...

Armand
(sovrapponendosi) Oh, tacete, tacete, non sono venuto qui per conversare con voi, bensì per dibattere: un dibattito è l’ultima moda di Parigi.
Rose
Dibattito. Qual è la differenza dalla conversazione?
Armand
È molto più divertente.., anzitutto nella conversazione talvolta uno dei conversanti ha ragione e l’altro ha torto mentre nel dibattito tutti hanno ragione con conseguente aumento del volume totale di verità espressa, inoltre sono consentiti termini e locuzioni che nella normale conversazione non sarebbero concessi.
Rose
Esempio?

Armand
Non me ne vorrete?

Rose
Non ve ne vorrò.

Armand
Bella nasona, questi carciofi imbellettati che voi chiamate rose sono ancora il vostro limitatissimo orizzonte?

Rose
Io vi proibisco...

Armand
(sempre interrompendola) È una bella virile giornata, oggi...
Rose
Cosa c’entra la bella gio...

Armand
Vi interrompo, nel dibattito si interrompe, è un modo di entusiasmarsi, come un applauso a scena aperta.

Rose
Sì, ma io quando parlo? perché...



(S.B)

mercoledì 12 marzo 2008

for a better youth

II incontro:12 marzo ore 14.oo

Non ho contato, ma quindici ce n'erano di sicuro. Scrivo alla lavagna gli argomenti del giorno. Il filo di imbarazzo dovuto a gente nuova va scomparendo con la fermente voce di Pietro che non manca di frecciatine a Walter e al piddì. Propagande politiche. Claro. Tattiche di ascesa. Ovvio.
C'è chi accusa dall'altra parte politici regalando patronimici alla Grillo. C'è chi non parla per giustificato timore. C'è chi non parla ma emette interiezioni ripetute e frasi talmente corte da essere private di verbi ma che ci regala comunque sorrisi che non guastano mai. C'è chi legge da fogli stampati obiettivi politici di stretta intesa, dal facile contraddittorio che senza volerlo diventa accesa discussione. Si parla di una Costituzione maneggiabile e ritoccabile. Forse troppo. Addirittura si propone di modificare il primo articolo. Il primo. Non siamo tanto convinti. Affatto. A qualcuno sembra assurdo. Altri restano impassibili e si mettono comodi ad ascoltare convinzioni tanto lontane dalle proprie. Altri alzano la mano educatamente per ribadire concetti universali. Non è facile neanche trattenersi ed è scontato sforare nel rumore per nulla, ma dignitosamente proseguiamo discorsi da grandi, argomentati tra quattro pareti strette, tanto che qualche volta si soffoca pure nei nostri enormi credo. Si lanciano frecciatine, provocazioni, assurdità e paradossi. Si sviano discorsi da "bravi politicanti" non argomentando il proprio pensiero ma distruggendo l'altro. Fa tutto parte del gioco. Ed è un gioco che sembra piacere.
Il gioco di quelli che credono in qualcosa è un gioco difficile e per giovani inesperti, imbranati, ignoranti (nel senso che non sanno)lo è ancora di più. Si finisce che gli orari si sforano. Gli argomenti si diramano e se fossimo su un forum pareccio risulterebbe OT. Repubblica Presidenziale, Monarchia, Referendum del 46, Savoia, LaDestra, Santanchè, La destra europea, Radicali, Comunismo, Utopie, Tasse, Statali&Liberi Professionisti...ed è un dibattere senza fine! Non è vero, la fine c'è, e tutti a casa che qua ci restiamo anche a cena tra un po'.
Ma poi fa proprio bene agli occhi vedere ragazzi proprio giovani, la maggior parte ancora di minore età, che alzano la voce per dire SECONDO ME, che appoggiano la mano sulla guancia e avvicinano il corpo per recepire le idee degli altri. E poi è bello sentirsi dire alla fine Ciao, la prossima? O sentire il cellulare vibrare e leggere "mi sono divertito tanto". E poi che saranno mai due ore della tua vita dedicate ad un pomeriggio a fare i politici? Che sarà mai?

For a better youth.
il mercoledì alle due
all'ernesto cairoli.

e poi?
..quello che facciamo tutte le sere, conquisteremo il mondo! :)

domenica 9 marzo 2008

il pullman delle 12.54

Il pullman blu delle 12.54 era stato puntuale. Dopo pochi minuti di attesa Ce era salita sull’autobus che portava sulla testata la scritta Angera.
I suoi occhi provarono piacere nella immediata conferma di intravedere ancora una volta la stessa gente. La signora anziana con la borsetta nera, le scarpe nere e il cappellino nero, sedeva nella seconda fila destra verso il finestrino. Era sempre attaccata alla sua borsetta così come era attaccata alla sua postura statica. Il mento rivolto all’insù. La schiena completamente attaccata al sedile. L’espressione eterea, di chi ha già visto l’aldilà ed è sicuro della propria futura postazione in cielo.
Il ragazzino delle medie coccolato dal panino enorme che azzannava con profonda devozione, facendo attenzione a non sprecarne neanche una briciola, ma sicuramente pronto a cederne un pezzo a chi gliel’avesse chiesto. I suoi capelli raramente vedevano la spazzola al mattino, ma la camicia sempre stirata addosso faceva pensare che la sua mamma comunque tentava invano di pettinarlo.
Dietro di lui, con aria profondamente assonnata e con occhi turgidi stava un ragazzo dal viso poco curato, come i suoi vestiti sempre sporchi di calce. Quando timbrava il biglietto di convalida mostrava unghie nere e rovinate, e attorno le pellicine di pelle rossa erano palesi di un carattere nervoso, irrequieto.
Era difficile stabilirne con certezza la nazionalità, ma altrettanto facile era immaginare che il fiore dei suoi anni era sciupato troppo presto, o forse non era mai sbocciato.
Per il resto il pullman era vuoto, e ciò consolava Ce, così abituata ai suoi fissi amici di viaggio, che avrebbe poco accettato l’arrivo di qualcun altro.
Il suo pranzo frugale del venerdì consisteva in un pezzo di focaccia e mela. Durante il tragitto mangiava lentamente, così assorta ad osservare i compagni seduti.
Ce stava apposta in fondo. In una comoda posizione strategica che le permetteva di giocare alla psicologa.
Non aveva mai iniziato un vero discorso con nessuno dei presenti. Se non una volta, quando la signora della seconda fila le aveva chiesto un’informazione sugli orari festivi.
E in realtà non le era mai sfiorato il pensiero di conoscerli. Avendo da tempo delineato i profili di ciascuno, compreso l’autista, e avendoci anche ricamato sopra le loro vite aggiungendo di volta in volta particolari, Ce temeva attraverso anche una semplice conversazione di smontare la propria fervida immaginazione. Nel mistero accresce l’interesse, si sa.
Alla fermata di Casciago scendeva il ragazzino, che lasciava al suo passaggio profumo di pancetta.
A Luvinate si fermava la signora anziana. E una fermata dopo toccava a Ce.
Le porte si aprirono appena il veicolo si fermò. Il semaforo avanti cinque metri aveva scattato il rosso. La ragazza voltò il viso alla sua sinistra, verso la piazza della chiesa come al solito deserta, con l’unica compagnia di un bel pino centenario da poco regolato. Si coprì per quanto poteva il collo con la sciarpa, e si diresse dall’altra parte del paese.
Visto dai vetri sporchi del pullman, Barasso può apparire cupa, morta, con l’unica attrattiva dei boschi semi-abbandonati al suo interno. Una tappa da superare, e mai una meta.
Il passo svelto permise di arrivare all’istante al cimitero, col viso quasi completamente rivolto all’ingiù. Che senso avrebbe avuto osservare il paesaggio? Era giornata di vento, e la ragazza conosceva troppo bene quelle strade per potersi permettere inutilmente un raffreddore. A memoria le conosceva.
Dalla fermata alla sua destra, stava la casa rosa della Rosa, con fuori le rosa rosa. Abitava sola la poverina, il marito di cui nessuno più ricordava il nome, l’aveva lasciata quarant’anni prima, con un figlio in pancia, e la ricevuta dell’osteria della sera prima. Nessuno seppe mai come fece a tirare avanti sempre chiusa in casa. Il bambino alle elementari, vestito sempre di tutto punto, portava a sua madre i saluti della gente che incontrava. Nessuno mai si spiegò come fecero a tirare avanti con la Rosa sempre in casa, e anche come mai la pancia della gravidanza non le era mai andata via… Sempre dritti, si incontrava l’ingombrante presenza di un prefabbricato anni ’90, con posteggio annesso, pagine pubblicitarie sulle finestre, e scritte di grande impatto commerciale. Subito si gira a sinistra, piccola salita, spazio di due macchine una dietro l’altra, e cancello in ferrato munito di suoni e colori per visitatori in determinate fasce orarie.

A quell’ora del venerdì c’era solo una signora anziana. Viveva a Luvinate e dopo pranzo usciva con lo stesso mazzo di fiori diretta sempre al cimitero di Barasso. Come ogni volta, Ce salutava ma la signora con la cataratta non rispondeva al cenno. La ragazza avvolta nel cappotto attraversava le tombe all’aperto, calpestando la ghiaia che emetteva piacevoli suoni familiari. Terzultima tomba del porticato, in basso sotto tutti stava la foto ricordo, il nome e la data. Uniche testimonianze di una vita ormai trascorsa. Niente frasi ad effetto. Solo un lumino di plastica spento, e la croce inchiodata nel marmo. Scomoda posizione. La ragazza aveva obiettato più volte che non le piaceva quell’assurda e scomoda collocazione, ma l’inflazione dei morti a Barasso non concedeva scelta al consumatore pretenzioso. E chi non lo è pretenzioso quando si tratta della propria morte?
Posava margherite gialle per terra. Toglieva le piante morte dal vaso di rame. Avvicinava a sé l’annaffiatoio blu. Compiva gesti già visti da parenti distratti. Dominava la sua voglia di gridare. Trasmetteva pensieri e ricordi ad un nonno incapace di ascoltare. Finiva il lavoro con grande abilità. Puliva con una scopa di saggina le impronte della sua presenza. Lavava la foto, il nome e la data. Regalava un sorriso ferito. Girava le spalle e rifugiava nella sciarpa lacrime per una tomba posta troppo in basso. Malediva l’inflazione dei morti e tornava indietro per una via che la riportava in un mondo in cui il solo pensiero è la vita.

venerdì 7 marzo 2008

Il grande gigante gentile

"Gli adulti sono troppo seri per me. Non sanno ridere"

Davanti a una frase del genere sono due le persone che avrebbero potuto dirla. Saint-Exupery e Roald Dahl, e benchè il primo abbia detto una cosa del genere con altre parole, è proprio Dahl che adottò questa frase.
Roald Dahl, un genio nel suo genere.
Imbattuto senza aver fatto una gara.
Ex-straordinarium romanziere per bambini o favolista per adulti.
Perchè non si capisce bene quale fosse in realtà l'unico pubblico.

Rileggendo infatti oggi alcuni dei suoi libri potrei con sorpresa reinterpretare la maggior parte di immagini e emozioni vissuti già a otto anni.
A otto anni fui una specie di Matilda ancor prima di conoscere questo suo simpatico personaggio. Io ero con James quando viaggiava nella Pesca. Volai con il signor Wonka nell'ascensore di cristallo. Presi anche io la magica medicina. Giocai con la Giraffa e il Pellicano. Accompagnai Sofia nel mondo del Grande Gigante Gentile. Mi spaventai davanti alle Streghe senza unghie e senza capelli. Risi leggendo i versi all'inverso. E il Signor Volpe? Quanto era Furbo il Signor Volpe! Festeggiai con Danny, il campione del mondo!
E DIVENNI PIU' GRANDE, QUANDO LESSI IL DIARIO DI VOLO.



Non piu' personaggi strampalati e mostri e bambini e animali. Solo un Roald Dahl nudo e crudo. Un uomo coraggioso e pieno di risorse. Con una vita sconvolgente. Con un passato complesso. Con un futuro sereno.

Fu un ottimo espediente per invogliarmi a leggere. Per imparare a tenere un mano un libro e non sbuffare dopo una pagina.
Favole moderne le sue. Senza morali scritte ma istruttive in maniera anticonformista, smontando i luoghi comuni, insegnando a porsi al mondo con sapiente criticità. Regalando sorrisi senza effetti scenici. Semplicemente scambiando una lettera con un'altra formando colorate e buffe parole. Grande invettiva personale, sempre nuova e autentica creatività. Finali inaspettati e strani con atmosfere sempre minacciose e giudizi finali regolati da originali leggi di contrappasso.
Mi innamorai della schiettezza di uno scrittore pulito, scorrevole, delicato. Apprezzai il suo ottimismo nei confronti delle sofferenze della vita. Ma più di tutto il suo umorismo grottesco che andava di pari passo con le stupende raffigurazioni del suo disegnatore fedele, Quentin Blake.

A volte, leggendo un libro, scrivendo un racconto, immagino che senza la fondamentale presenza di Dahl nella mia formazione, non avrei mai completamente apprezzato l'importanza di leggere, e ancor di più di scrivere...

Io, la piccola Sofia e Roald Dahl, il vero e unico Grande Gigante Gentile...

giovedì 6 marzo 2008

Ce la sta facendo

"Ce si alzò finalmente dal pavimento ormai caldo. Ogni singolo pensiero era sparito: il cuore batteva in modo ritmato, rilassato da quel momento di tranquillità. Aprì la finestra, un fresco venticello autunnale entrò a farle compagnia. La stanza si riempì di vita: e allora scoprì la nascosta bellezza del tempo irrequieto di ottobre. Imparò ad amare le mezze stagioni e i loro tempi agitati. Era diventata così Ce e si piaceva veramente."





Guarda là Ce. Sorridi Ce. Prega Ce.
Non piangere Ce. Non prendertela Ce. Goditela Ce.
Bravissima Ce. Ancora un po' Ce. Resisti Ce.
Non sopravvivere Ce. Vivi Ce.
Immagina Ce che un giorno tutto questo sarà tuo.
Anzi no.
E' già tuo Ce.
Ora dormi Ce. Immagina Ce, di essere già là.
Lo vedi Ce? Ti vedi Ce?
Bravissima Ce. Guarda là Ce.
Sorridi...

mercoledì 5 marzo 2008

The dreamers

Avevo vent’anni. Ero venuto a Parigi per studiare francese….La massoneria dei cinefili, quelli che chiamano “malati di cinema”…Io ero uno degli insaziabili, uno di quelli che si siedono, in prima fila, vicinissimi allo schermo. Perché ci mettevamo così vicini? Forse perché volevamo ricevere le immagini per prima quando erano nuove, ancora fresche, prima che svolgessero verso il fondo, scavalcando fila dopo fila, spettatore dopo spettatore, finchè sfinite, ormai usate, grandi come un francobollo, non fossero ritornate nella cabina di proiezione. Forse, lo schermo era veramente uno schermo; schermava noi





"I bei film sono quelli che ti insegnano come non perdere tempo a vedere film brutti"

Questo lo è. Si chiama "i sognatori" ma parla di realtà.
Il suo regista è italiano ma ambienta il suo film a Parigi. E' vietato ai minori di 14 ma si può vedere anche prima. O almeno. (Senza dirlo alla mamma). Ha fama di essere volgare ma è un ver0 capolavoro della cinematografia italiana. E vantiamocene. Basta soffermarsi sulla sceneggiatura incalzante, provocatoria, ricca di spunti per conoscere la realtà sessantottina parigina. Ruota intorno a tre personaggi che riempiono la scena con la loro rispettiva forte personalità. Tocca temi anche riciclati, ma rinnovati e rimpiantati in quella precisa situazione storica. Provoca nostalgia per un'epoca mai conosciuta e lo stesso accade ai protagonisti nel film: riporta a galla il passato attraverso i primi grandiosi film che hanno iniziato la storia del cinema. Riporta alla luce la voce di un'Edith Piaf mai battuta. Notiamo un Bernardo Bertolucci trasportare i suoi ricordi nella macchina da cinepresa, e nel farlo ci trasmette gli stessi sentimenti da lui vissuti. E diciamolo: si è pure divertito a lanciare ai suoi sopravvalutati spettatori giochi e indovinelli, curiosità e provocazioni cinematografiche. Mi ha regalato l'emozione di un film che parla -tra le tante cose- di film. Mi ha regalato un titolo -banale se vuoi- azzeccato per l'effetto che provoca quando vai a letto e sogni...

E poi, se si vuole proprio vederlo con superficialità e con leggerezza potere pure scegliere tra il biondo e il moro, Michael Pitt e Louis Garrel.

Ma sarebbe come una specie di...CHAPLIN O KEATON?

lunedì 3 marzo 2008

ADOLESCENTI COSCIENTI: capitolo primo

...Tra un sonetto di Petrarca e i mille Flumen del De Bello Gallico, tra una disequazione di secondo grado quando non sono capace a fare neanche una di primo, tra il legame dativo e lo ione di polo, tra il romanico e il longobardo, tra un phrasal verb e un multilple choice, tra le bioi paralleloi e le accezioni di Plutarco, tra una non-ora di religione e una non-verticale di fisica...



Gloria era quella delle magliette sempre corte, con le scritte a caratteri cubitali, frasi a effetto risata che dopo un’occhiata stancano. Faceva ginnastica nella palestra della sua vecchia scuola elementare ed era innamorata del ragazzo più grande che si allenava dopo di lei. Consumava tutti i suoi sospiri in classe e riserbava a lui pochi sorrisi ghiacciati in un apparecchio ancora in bocca. Nel gruppo lei era un po’ il nove di un mazzo di carte, grande ma non indispensabile per vincere a scopa.
Il due di picche invece lo dava sempre Fabio. Tutte le credevano il sette bello ed era brutto. Quando però veniva teneva le carte in mano e ci gestiva tutti. Un grande nella sua altezza, nei suoi vestiti larghi e nelle sigarette che offriva. Faceva il classico e sembrava uscito dalle serali. Portava una barba incolta e fresca alla Clint Eastwood senza poncho. Non parlava mai di futuro e nessuno glielo chiedeva.
Aveva avuto una storia con Vale, ma lei si era stancata e si era messa con uno che non studiava. Lei diceva che studiava in provincia ma io l’avevo visto sul tetto della scuola. Faceva il manovale. L’aveva conosciuto in un giorno di brutto tempo e ora lo chiamava il suo Sole. Lui parlava poco e lei forse questo voleva.
Carlo era quello più maschio di tutti. Andava in palestra e giocava a calcio. Sfotteva Gianni che leggeva fumetti e ascoltava ’70. Carlo era il più maschio di tutti, me lo aveva detto Gianni che si lasciava sottomettere. Forse troppo. Glielo dissi quella volta. Smettila di stargli dietro. Sbagliai parole e lui continuava: Carlo, lui sì che è maschio. Il mese dopo Carlo venne espulso dalla squadra per aver ostentato la sua virilità in doccia. Gianni smise di leggere fumetti e prese ad ascoltare ’80.
Ste scriveva poesie dopo che era morto un vicino di casa. L’aveva visto cadere dal quarto piano. Ste stava prendendo il basilico per la parmigiana. Sua mamma gridava le foglie più grosse e poi solo il tonfo pesante di un uomo stanco del solito tram cittadino o forse del tram tram quotidiano.
Silvana che studiava il primo anno di psico alla statale gli aveva detto di andare da lei a confidarle il suo shock. Ste ci andava da Silvana. Le leggeva poesie.
Annetta invece mostrava accentuati pregiudizi nei confronti delle persone che la circondavano che diventavano quindi sempre di meno. Parlava poco e scriveva sui banchi altrui squarci di pensieri ermetici generati nelle tediose ore di autori. Aveva lasciato danza sei mesi prima, soffocata dall’insegnante che la pesava ogni lezione.
Francesco era il Che Guevara dei tempi morti. L’anticonformista dell’anticonformismo. Il marxista dell’occupazione scolastica. Il fantasma di ideali rincorsi in mai conosciute gioventù bruciate. Giocava a fare l’anti. Però non metteva magliette dell’Ernesto. Era anti-commerciale. Organizzava riunioni il pomeriggio dove sfogare in aule vuote la delusione giovanile di una politica marcia. Leggeva fogli stampati con numeri e statistiche di cariche istituzionali ammuffite e di falsi in bilancio. Si era candidato una volta alla rappresentanza d’istituto, ma i giovani elettori risultarono distanti dal fascino del facile nozionismo politico e preservarono il loro prezioso voto a candidati ignari degli sbarramenti al cinque per cento alla Camera.
La Madda era al quinto del linguistico. Ballava in tedesco. Cucinava in francese. Suonava in inglese. Giocava in spagnolo. Mandava a fanculo in lombardo. Ci sfotteva tutti con il nostro greco e latino e votava aenne. Con la chitarra in mano mi aveva raccontato la sua formazione politica. “E’ tutta questione di anni. Primo anno zero. Secondo anno comunista. Terzo anno con la Bonino così oltre alle diete per i digiuni ci sta del buon femminismo. Quarto anno Forza Italia che capisci che la politica è tutta una stronzata ma almeno a destra sono per i soldi. E quinto maturi, comprendi che si stava meglio con il Dux –lo disse in latino Dux- e cazzo, io non ci credo mica a tutte le cose che circolano su di lui. E le strade allora?”. Le chiesi del centro. Mi disse Cosa? Le dissi, il centro non l’hai menzionato.

…C’è qualcosa di peggio di un giovane democristiano?

domenica 2 marzo 2008

nominativo adulescens: capitolo secondo

Il dolce suono della campana riscosse pure gli animi intorpiditi delle amebe che sorrisero, scambiarono occhiate furtive tra loro e si concessero quella meritata pausa sorseggiando succhi portati da casa, sgranocchiando barrette pseudo-energetiche e leggendo per sfizio il vocabolario di greco.
A quella vista macabra Ce uscì.
Se scendi di un piano più sotto dove c’è la sala stampa, si aprono davanti a te due corridoi, o meglio due “passerelle”.
Se imbocchi quella alla tua destra te la puoi ancora cavare: quello è il territorio del ginnasio e l’aria è ancora respirabile. Se invece dal centro stampa ti indirizzi nel corridoio di sinistra, che porta in segreteria e nel bar, allora te la sei cercata.
Ce scese le scale diretta in segreteria: conosceva quegli scalini a memoria e non faceva attenzione a dove metteva i piedi.

Davanti a lei un ragazzino impacciato con un panino imbottito scendeva lentamente le scale ostruendo il traffico. Bastava un’occhiata per riconoscere i quartini, soprattutto i ragazzi. Così teneri, graziosi, timidi: con una seconda occhiata però capisci che non durerà a lungo, che anche loro presto entreranno nel rapido vortice liceale.
Iac stava rimuginando la rabbia non ancora raffreddata. Non si trattava solo del disastro matematico, ma di tutto il cataclisma scolastico che l’aveva travolto alla vista del libretto. Astutamente evitava di aprire spesso il libretto al contrario delle sue compagne competitive, ma quel giorno era stato costretto: se non metti i voti nel tuo libretto ti tolgo la play. La voce minacciosa materna risuonava nel suo orecchio. Così quel giorno aveva aperto quelle tristi pagine per aggiornarle di quel fresco ed infelice tre.

Puntava i piedi in avanti a mò di piccoli trattenuti calci all’aria. In bocca gli si formavano a metà neologismi colorati dal suono a tratti aspro e a tratti sibilante che il ragazzino giustificava con il tentativo di reprimere le sue frustrazioni quotidiane. Tra uno scalino e un borbottio azzannava il panino dal profumo assai ambiguo, nascosto dall’igienica custodia di metallo. Cos’avranno da sorridere tutti in questa scuola? Forse era solo lui l’unico animale da macello in quel mattatoio dalle pareti di cartone?
La risposta gli apparve in aiuto subitanea. Un ragazzino dall’aria innocente affondava la faccia sopra la gelida finestra del secondo piano. Appoggiava le mani sulla sottile mensola dove gli facevano compagnia gli amici Schiacciatina, Tarallo e l’inseparabile Lattina. Iac non sapeva decidersi: sfruttare quella vista per consolarsi o compatire l’amico disadattato? Optò per entrambe le soluzioni, con l’apprezzabile aggiunta di un poco di simpatia fraterna.
“Ehi Sam! Che fai?” –Decise che far finta di non capire che succedeva avrebbe potuto riscattare la disperata dignità dell’amico-.
“Là fuori. Guardo là fuori. La mamma mi ha detto che uno di questi giorni mi porta a comprare qualcosa di carino. Ora pure lei critica il mio guardaroba. Come se i miei compagni di classe non facessero la loro parte. Ma forse è meglio così. Intendo per i vestiti. Forse è meglio che mi adatti pure io, no? Sembrano felici là fuori nelle loro giacche leggere, con la sigaretta sempre in vista. Perché non proviamo pure noi, eh Iac? Ne rubo una al pà stasera. Tu porti l’accendino, eh Iac? Oppure un fiammifero, però poi non so se sia la stessa cosa. Proviamo prima magari, eh Iac? Così non facciamo figure domani a scuola.”
Iac era paralizzato davanti a quello che era il suo migliore amico delle medie. Possibile che fosse così bambino? Pure lui era piccolo e inesperto, però porcogiuda non era così messo male (parafrasando il pensiero). Lo guardò meglio e intravide sopra le pronunciate labbra la presenza di baffi scuri lucidi. Non era necessario toccarli per percepire la setosità di quei peli ancora puerili. Lo stava mettendo poco a suo agio quel discorso sulle sigarette. Possibile che stesse dicendo cose serie? “Proviamo a fumare così non facciamo figure”? In che mondo viveva? Nel mondo di Iac per esempio le sigarette –che raramente vengono chiamate così - si “provavano” a fumare massimo a quattordici anni. E non a metà anno della quarta ginnasio! C’era tutto un meccanismo dietro, un rito che non avrebbe certo condiviso con il suo amico Sam davanti a tutta la scuola…

Questi pensieri si svolsero nel giro di pochissimi secondi nella mente del ragazzo, il quale, a parte tutto, possedeva un minimo di tatto che gli suggerì di assecondare l’amico in difficoltà.
“Sam. Non dire assurdità, tu non hai bisogno di una giacca leggera e una sigaretta in mano per stare bene. Credi di risolvere tutto così? Naa! Ehi, sabato magari puoi uscire con me se vuoi. I miei compagni organizzano qualcosa in centro… Così ti sposti un po’ da quei libri e dizionari e ti diverti con noi. E non provare a tirare in ballo tua madre. Sono certo che basta convincerla un attimo...


to be continued...

sabato 1 marzo 2008

a better youth

Quando si dice scommettere su qualcosa.


Ti propongono un progetto. Ti mettono sul piatto tutti i vantaggi e i rischi.

Cominci a sgranare gli occhi.

Magari, sì, all'inizio hai accettato per foga, per semplice impulsività.

Forse è vero, sembrano utopici progetti dalla breve durata...


Sciocca te che ci credi...E io ci credo.


Perchè qualcosa forse si smuove. Non lo percepisci all'inizio, ma è così.

E ancora tutti ripetono che i ggiòvani sono quelli che sognano sempre meno. "I
ggiòvani non sono piu' i giovani di una volta: non pensano. Non agiscono. Non si preoccupano. NON LOTTANO." I giovani incoscienti, così li chiamano. Irresponsabili li definiscono. I giovani per cui tutta un'erba è un fascio (e che fascio!)

...Sciocca te che ripeti che non è così. Sciocca te che ci credi. E io ci credo.



Ancora è silente, si muove a passo leggero, senza trombe che squillano, ma C'E'.

Una meglio gioventù esiste. E' quella che si ritrova il pomeriggio in un'aula vuota e PARLA.

La meglio gioventù che scambia idee senza urlare e SI CONFRONTA.

Sono una ventina di persone, forse piu', che sognano in un presente insicuro un FUTURO dignitoso. Sono i giovani come quelli di una volta. Come quelli di domani. SONO GIOVANI E COSCIENTI DI UNA REALTA' DA COSTRUIRE. Pensano e ripensano a soluzioni, a migliorie, a proposte che nascono nella propria piccola realtà scolastica, comunale, cittadina. E DOPO PENSARE, AGISCONO: si alzano in piedi e chiedono dei bagni piu' puliti, delle assemblee piu' coinvolgenti, dei corsi piu' interessanti.


Prendono il nome da un film. La meglio gioventù. Una generazione complessa e contorta, incosciente e irresponsabile per qualcuno. Ma comunque capace di LOTTARE e sopratutto SOGNARE...che sembra un'arte troppo sottovalutata di questi tempi...

perchè?

Per non reagire alla parola politica con disgusto. Per essere consapevoli di cosa stiamo vivendo. Per far diventare la scuola fautrice non solo di educazione didattica, ma capace di fare dei propri giovani dei buoni cittadini di domani.

Chiamateci come volete. Ma almeno chiamateci.

...sotto la scia

...Sotto la scia dei Belle and Sebastian mi decido.
Ho aspettato che giungesse marzo duemilaotto, e quasi allo scader dei miei sedici anni, mi decido a far nascere uno spazio tutto mio.

Unici testimoni del battesimo, Judy and the dreams of horses...